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NINO
FAZIO, traversata solitaria stile libero VULCANO - MILAZZO le Vulcano - Capo Calavà di Nino sono qui: 1987 - 2005 - 2006
Non vorrei prendermi troppo sul serio, ma il fatto è questo: a cinquant'anni si comincia a fare qualche bilancio e così ho fatto anche io. Ci si guarda dentro, ci si chiede cosa ci manchi. Chissà perchè, è sempre più facile concentrarsi su cosa non abbiamo, piuttosto che su tutto ciò che abbiamo già. Sarà perchè forse siamo ciò che abbiamo fatto, ma siamo anche ciò che desideriamo fare e non abbiam fatto ancora. Per farla breve, nello sport avevo le idee chiare: lasciando da parte i sogni "fuori portata", c'era una cosa che desideravo veramente affrontare: la traversata in solitaria da Vulcano a Milazzo. Dopo tre Vulcano-Capo Calavà, non volevo "correre il rischio" di chiudere la mia carriera sportiva senza aver provato a compiere quella traversata che aveva acceso in me il desiderio di nuotare in mari diversi dallo Stretto e che pure avevo trascurato per concentrarmi su un altro percorso mai provato in precedenza e che fosse solo "mio".
I quasi 23 km della Vulcano-Milazzo erano stati affrontati dal reggino Michele Rossetti con muta e pinne (7h.30'48") nel 1975 e poi dal mio amatissimo maestro Nino Musciumarra nel 1979 (con pinne, 8h.31'07"). La traversata senza pinne, invece, era stata completata solo da Gianni Golini nel 1978 (6h.25'51"), da Pippo Nicosia a tempo di record nel 1986 (5h.27'07") e da Cristina Scotto nel 2007 (9h.56'27"). E altri blasonati nuotatori ci avevano provato, senza successo. Per me che da 20 anni porto nei mari di tutta Italia i colori di Nuoto Milazzo, questa rotta rappresentava un passo per certi versi naturale, per certi versi obbligato. "Tornare a nuoto a casa", partire dall'isola a me già così cara e arrivare sulla roccia che mi ha visto nuotare decine di volte insieme a Nicosia, nella città che mi ha adottato dal punto di vista sportivo, tutto questo aveva un sapore speciale. Ecco, era una cosa che mi mancava. Era una cosa che volevo davvero fare. Insieme all'amico Giovanni Arena mettiamo insieme rapidamente i vari tasselli dell'organizzazione. Incasso l'immediata disponibilità di Marcello Aricò, il medico e amico che mi ha accompagnato in tutte le mie avventure in mare, l'insostituibile Marcello. Pietro Mondello ci aiuta a trovare un barcaiolo esperto, fissiamo la data, il 7 Luglio, e io incomincio a lavorare in piscina con Milazzo nel mirino. Ormai la preparazione di una traversata di oltre venti chilometri non è più un'incognita. Seguo più o meno i programmi di allenamento messi a punto nelle precedenti esperienze e ho la fortuna di essere sostenuto da una testardaggine che certe volte preoccupa anche me e da un fisico sufficientemente integro per affrontare gli impegnativi carichi di lavoro necessari. Ehm... sufficientemente integro? Sì, fino al 17 aprile! Come un fulmine a ciel sereno, giocando 3 minuti a pallone alla Passeggiata a Mare con Andrea, sento qualcosa che si rompe dentro la mia gamba. Capisco subito, dal dolore, dal rumore, dalla sensazione di "rotto", che è successo qualcosa di serio. Verdetto: una lesione di terzo grado al retto femorale, in sostanza la parte centrale del quadricipite spezzata in due. Un caso classico della traumatologia del XXI Secolo: "cinquantenne con velleità atletiche che gioca a pallone col bambino e si fracassa in tre minuti".... stavolta è toccato a me. Un infortunio grave per uno sportivo ma che non è un dramma nella vita. In fondo una piccola cosa, che passa con qualche mese di stampelle e le giuste precauzioni. E poi mica ho da fare le Olimpiadi. Però al mio progetto ci tengo, ormai ci sto lavorando da mesi e non riesco proprio a cedere all'idea di rinunciare. Rinviare non si può, ci sono anche i ritmi e le esigenze della mia vita familiare che non intendo condizionare con i miei capricci sportivi. Il primo pensiero è quello di tornare in acqua al più presto possibile. Con la gamba legata, col pull-buoy, in qualche modo, ma tornare in acqua subito. Le prime visite mediche sono decisamente scoraggianti: a detta dei medici, la guarigione richiederà diversi mesi e la condizione indispensabile è il riposo assoluto, con la gamba immobilizzata. Posso, a detta loro, dimenticarmi della traversata per questa stagione e pensare solo a guarire. Di diverso parere è però Massimo Trimarchi, il fisioterapista che dirige Tricenter, il centro polispecialistico specializzato nella traumatologia sportiva. Dieci giorni di immobilità assoluta e l'inizio di un percorso terapeutico fondato sulla Human Tecar, una terapia innovativa alla quale Tricenter fa spesso ricorso in casi simili. La gravità della lesione però induce anche i fisioterapisti ad una certa prudenza e il mio ritorno in acqua a soli quattordici giorni dall'incidente è più che altro una mia forzatura. Inizia così un nuovo capitolo della mia vita sportiva. Pur di nuotare, le provo tutte: prima con le gambe legate, poi con una fasciatura in neoprene per tenere compresso quel che resta della muscolatura, che oltre alla lesione ha ormai perso ogni tonicità... nuoto solo di braccia, non faccio virate, ma nuoto. Quattro km, sei km, con tempi da dimenticare, ma nuoto. Passano i giorni e le settimane, la lesione si rivela più grave di quanto previsto e stenta a rimarginarsi, ma nuoto. Tricenter ha ormai sposato il mio progetto, è una scommessa che con Trimarchi e i suoi collaboratori Alessio Naccari e Sergio Pergolizzi sentiamo di poter vincere, grazie al percorso parallelo di allenamenti e Tecar-terapia. Alti e bassi si alternano, i risultati delle ecografie continuano ad essere preoccupanti, così come gli esiti delle prime nuotate in mare, dalle quali esco senza dolori alla lesione ma terribilmente irrigidito al punto da non riuscire a rimettermi in piedi. Sono momenti non facili, in cui sento che il problema c'è ed è serio, e so di dover prendere una decisione al più presto. Come se non bastasse, il barcaiolo trovato insieme a Pietro e con cui già avevamo concordato tutto, sparisce. Parte per una battuta di pesca al pescespada in mari lontani e rientrerà in Settembre. Per trovarne un altro è ormai tardi e con Natale, pilota dell'altra barca-appoggio, decidiamo di fare da soli. Per me ci sarà poi Giovanni a tener tutto sotto controllo, da vero uomo di mare qual'è, e per la seconda imbarcazione mi viene in aiuto Francesco Antonuccio, amico di una vita. Gli allenamenti mi portano ormai a recuperare i chilometraggi previsti dalla mia tabella di marcia, 8, 10, 12, 14 km, anche se i tempi non sono paragonabili a quelli precedenti l'infortunio. Ma so che in mare sarà diverso: ci sono le onde, è vero, ma non ci sono le virate - e poi è il mio mare. So che non potrò lottare per superare il record di Nicosia, ma sarebbe stato fuori portata anche se fossi stato bene. Un campione è un campione, un operaio del nuoto resta sempre un operaio, per quanto allenato e testardo. Specie se ha già varcato la soglia dei 50. Sarà una traversata con un obbiettivo diverso, per certi versi più complesso e "personale" del semplice risultato cronometrico. Penso di potercela fare e decido di andare avanti. Amici, preparate il borsone e salite a bordo, il 7 Luglio si nuota di nuovo dalle Eolie alla Sicilia! Alle sei del mattino del 7 Luglio la barca con Francesco e Tito preleva Pietro, me e il mio Andrea al porto di Levante a Vulcano e ci dirigiamo a Punta Bandiera, in attesa dell'altra barca carica di amici che sta arrivando da Milazzo. Sopra: Pietro Mondello e Francesco Antonuccio, sotto: Giovanni Arena. I cronometri sono affidati ad Angelina Mangraviti, che vedete qui sopra con un modello "vintage" quasi quanto il nuotatore, e Nino Parasporo, che invece vedete sotto, mentre unto di Nivea e vaselina mi preparo a raggiungere gli scogli di Punta Bandiera per partire. Da questa foto si vede bene quanto la mia gamba sinistra sia ancora totalmente priva di tono muscolare... forse non sto facendo una cosa molto saggia. Ma è tardi per ripensarci. A cinque anni di distanza dalla mia ultima Vulcano-Calavà, mi ritrovo seduto sulle stesse care, vecchie rocce vulcaniche, con una sensazione che non potrei riuscire a descrivere a parole. Si guarda l'orizzonte in cerca del punto d'arrivo, ma è troppo lontano per identificarlo. Si "sente" la temperatura dell'acqua, si controlla la situazione-meduse (zero), si resta comunque rapiti per un attimo dall'incredibile bellezza dell'isola e del mare nel silenzio di quell'ora del mattino.... e prima di pensarci troppo su, si dà il segnale di "pronto" ai cronometristi che danno il segnale di partenza. E si comincia a nuotare. Le prime bracciate, mentre il fondale incomincia a scomparire, sempre più giù. E' il momento in cui si cerca il ritmo. Si "controllano le spie", si ascolta il proprio corpo, si cerca la posizione giusta rispetto alle barche - e viceversa. Il mare è meravigliosamente calmo - e questo è un bene, ridurrà la fatica che il rollìo delle onde comporta per la gamba infortunata. Ma si capisce dall'inizio che la corrente non è dalla nostra parte. Lieve, impercettibile all'occhio perchè non ci sposta lateralmente, ma c'è. E su una distanza tanto lunga, anche una corrente leggera può essere determinante, nel bene o nel male. Un minuto e mezzo in più o in meno al chilometro si traduce in mezz'ora in più o in meno all'arrivo. Il ritmo della mia nuotata è quello giusto, la media è di 74 bracciate che non sono poche per una traversata di oltre venti chilometri, ma il GPS rivela che stiamo avanzando ad un ritmo molto inferiore alle nostre aspettative. Dopo le 10 dovrebbe arrivare in poppa il maestrale, potrebbe rimettere le cose a posto. Vedremo, intanto debbo solo pensare ad avanzare. La foto qui sotto illustra uno dei rifornimenti, dopo tre ore e un quarto di traversata. A partire dai 45', mi sono alimentato regolarmente ogni mezz'ora con sali e zuccheri. Qui siamo in mezzo al mare, dodici chilometri di mare percorsi, undici da percorrere, uno sotto la pancia. La fatica fa brutti scherzi e incomincio a vedere cose strane. Una ragazza in bikini rosso si materializza dietro la prua della barca di Francesco. Mi rendo conto all'improvviso di non essere più al centro dell'attenzione dei miei accompagnatori, tutti girati dall'altra parte... Begli amici! Così com'era apparsa, la ragazza in bikini rosso scompare all'orizzonte e lo sport torna protagonista dopo questa parentesi glamour. Altro che maestrale in poppa, è il grecale di prua che arriva intorno alle quattro ore. E non è una buona notizia. La corrente continua a tirare nella direzione esattamente opposta alla direzione di marcia - sarebbe stata la giornata ideale per una Milazzo-Vulcano - e ad essa di aggiunge ora anche il vento, che dapprima leggermente, poi in modo più fastidioso, increspa il mare con brevi onde che mi accarezzano lateralmente. Ma non è il caso di far drammi. E' il mare, e la sua legge me l'ha già spiegata tante volte. Oggi ha deciso così, e posso dimenticarmi l'obbiettivo delle 6 ore che tenevo quasi celato a me stesso in qualche angolo del mio cuore. Dietro Nicosia va bene, dietro altri non mi sento di dover stare, ma il mare è mare. Debbo pensare innanzitutto ad arrivare e non dimenticare mai le condizioni in cui sono partito e le premesse.... anche perchè la fatica inizia a farsi sentire. Le onde, corte e ravvicinate, mi impediscono di nuotare come vorrei, la gamba continua a reggere bene ma stanchezza e mare mosso non vanno d'accordo. Passano le cinque, le sei ore. La sensazione di essere ormai "fuori" rispetto alla media che speravo di tenere non aiuta il morale, anche perchè in prossimità di Capo Milazzo la corrente si fa più forte e adesso avanzo davvero con difficoltà. Per fortuna sto bene e le forze ci sono ancora. Inizio a distinguere le rocce sulla riva, il Carciofo, la 'ngonia del Tono a destra, La Tonnara, Sant'Antonio, sono i posti a me tanto familiari... sto arrivando, in un modo o nell'altro ce l'ho fatta. A 400 metri dalla costa si tuffa Andrea e sprinta insieme a me, mentre magicamente il fondale marino riappare come una visione, il fondale spettacolare del Capo. Sugli scogli di Capo Milazzo ritrovo Pippo Nicosia, venuto a nuoto ad accogliermi. Per me è una grande emozione, e la fine di una grande fatica. Il tempo è di 6h.50'52", certo non quello che avrei sperato - ma non male, in ogni caso. Ho fatto la mia parte fino in fondo ed è andata così. Sono molto, molto felice. Una traversata diversa, come sapevo sarebbe stata, e il primo pensiero all'arrivo è stato per la mia prima nuotata a mare dopo l'incidente, quando mi ero davvero scoraggiato rendendomi conto di non poter neppure uscire dall'acqua. Ma non credo di aver fatto nulla di speciale e non è stata una pazzia come molti pensavano. Un mio grande amico, Rosario Patanè, affronta ogni giorno il nuoto in mare aperto senza l'uso di una gamba. E non per un incidente ridicolo e passeggero come il mio. Non va a finire sui giornali ad ogni cosa che fa, ma ogni sua giornata di sport vale quanto i miei 25 anni di carriera. Ho pensato molto a lui in questi mesi e mi sono reso conto, forse davvero per la prima volta, di quanto lo sport possa contribuire a fare emergere il vero carattere e il vero valore delle persone, nel bene e nel male... io ho fatto solo una nuotata più lunga delle altre, ma ho avuto la fortuna di potermi preparare per farla e di avere accanto a me delle persone speciali. In quest sì, ho avuto qualcosa in più degli altri.
GRAZIE A:
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