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NINO
FAZIO, traversata solitaria stile libero VULCANO - CAPO CALAVA' le altre Vulcano - Capo Calavà di Nino sono qui: 1987 - 2005
Raccontare la mia ultima Vulcano - Calavà non è così semplice. La storia di questa traversata è durata assai più dei 21 km e delle 5h.35'.05" di nuoto: è una storia durata 365 giorni e oltre mille chilometri di allenamento. E' una storia in cui ho conosciuto e fatto i conti con il mio carattere, con aspetti di debolezza e di forza che non sapevo di avere, e con il carattere di altre persone, delle quali ho capito fino in fondo il valore e i sentimenti nei confronti miei e dello sport che ci lega.
La mia traversata del 2005, portata a termine tra mille difficoltà ma con un tempo tutto sommato buono (5h.55'.56") era stata fonte di una gioia un po' effimera. Ero riuscito ad abbassare il mio vecchio tempo di 6h.27'.23" ottenuto nel 1987 ma sapevo che il risultato era stato condizionato da troppi elementi negativi e che non rappresentava il tempo migliore che avrei potuto ottenere. Ma tutto sommato non mi sarebbe mai passato per la testa di rifare la traversata l'anno successivo, se dopo solo 6 giorni Cristina e Fabrizio non avessero abbassato il mio tempo, contro ogni pronostico e probabilmente al di là delle loro stesse aspettative.
La storia della loro traversata sarà affidata alle loro stesse parole, ma per me che l'ho vissuta dalla barca appoggio e con il record in tasca che mi scivolava via come sabbia attraverso un crivello è stata un'esperienza strana. Vedere i propri più cari amici e compagni di allenamento, insieme ai quali si è coltivato il sogno della grande traversata eoliana e con i quali si sono condivisi impegni e sensazioni dell'impresa e della sua preparazione, mentre abbassano un tempo che hai ottenuto meno di una settimana prima, con una barca che li accompagna a meraviglia, senza le incomprensioni e contese sulla rotta e le correnti che pochi giorni prima ti avevano ostacolato, non è una situazione psicologica facilmente decifrabile. Come non essere felice per loro? Come non essere rammaricato per me stesso? La storia dello sport ha vissuto mille di queste situazioni, ma trovarvisi dentro è un'altra cosa.
La cosa più strana di tutte, almeno per chi non conosce i soggetti in questione, è che nè a Cristina nè a Fabrizio importava nulla di battere il mio tempo, trattandosi in termini astratti di un risultato che sembrava non pronosticabile. Ma come sappiamo le traversate in mare non sono gare in piscina. Ogni giorno è diverso dall'altro, ci sono i venti, le correnti, ci sono le mani che guidano il timone. Le barche che ieri si muovevano come treni sui binari, domani saranno come palline impazzite di un flipper. Senza rubare nulla a nessuno, hanno abbassato il mio tempo di 17 minuti. La loro splendida nuotata è stata premiata da quel quid che è mancato alla mia.
Avrei potuto, forse dovuto, prenderne atto e basta. Ma la Vulcano - Calavà è qualcosa che sento troppo "mia". Nello stesso momento in cui loro toccavano terra sapevo che prima o poi l'avrei riprovata. E fin da quel momento ho sentito che i miei amici avrebbero capito: ne ho avuto conferma dalla grande sportività di Cristina durante l'intervista ad RTP e dal fantastico "Ci devi riprovare!" di Fabrizio, in risposta la mio timido "..forse la vorrò rifare l'anno prossimo". Non solo mi hanno capito, ma da quel preciso momento hanno iniziato a lavorare con me per il nuovo tentativo. Poche cose ti fanno sentire un imbecille quanto lottare per un record del quale importa solo a te, per di più aiutato da chi quel record lo detiene!
Altra cosa: il nuovo tentativo sarebbe stato l'ultimo, in ogni caso. Per i miei 45 anni, per la mole di tempo e di allenamento che richiedeva, per i sacrifici che imponeva a me e a chi mi sta vicino. E dato che le probabilità di rifare il record erano il 50%, occorreva anche fare i conti con il restante 50, cioè con la probabilità concreta di non riuscire nell'intento e di convivere con questa realtà per il resto della mia vita. Occorreva quindi lavorare su me stesso e guardarmi bene dentro, per capire se mi sentissi pronto anche per questa eventualità. Nel corso dell'inverno e della primavera avevo pensato molte volte a tutto questo, e alla fine mi ero reso conto che il desiderio di provare era più forte di qualsiasi altra cosa, anche della paura di fare una traversata peggiore dello scorso anno. Se così fosse stato, mi ero detto, pazienza: l'idea di tornare a nuotare nel mio mare, di ripartire dalle stesse rocce nere e di arrivare sulle stesse rocce rosse era un'idea che mi attraeva troppo. Avevo voglia di riprovarci, e l'incertezza del risultato rendeva ancora più eccitante l'avventura. Posso dire di avere veramente deciso di rifare la traversata solo quando ho capito che non ne avrei fatto una malattia nel caso fosse andata male e che quello che desideravo era soprattutto di vivere un'altra grande nuotata in mare aperto. L'ultimo ostacolo, a parte la nuotata in sè, era l'ostinata decisione di Benito Vittorio Cannuci di non guidare altre traversate dopo quelle dello scorso anno. Quanto questa decisione fosse legata alle incomprensioni con Fiannacca sorte durante la mia traversata del 2005 e quanto alle condizioni fisiche non perfette del settantenne barcaiolo di San Giorgio, non so. Ma alla fine, dopo un inverno e una primavera di "delicata pressione" da parte mia, grazie all'assicurazione di avere a disposizione una barca da poter condurre personalmente (la stessa utilizzata l'anno precedente per accompagnare Cristina e Fabrizio), alle condizioni di salute migliorate e alla favorevole intercessione della signora Cannuci ("Vittorio, se stai bene per Nino lo devi fare") Benito Vittorio c'era. E non era un particolare trascurabile. Se volevo nuotare e raccogliere i frutti della mia fatica, stavolta il timone doveva essere solo nelle sue mani.
La storia della traversata, in sè è presto detta. Forse le foto di Marcello Aricò la raccontano meglio delle parole. Le condizioni del tempo, un po' preoccupanti in partenza per il cielo coperto, sono state tutto sommato buone. Ho tirato, tirato, tirato. Forse sono partito un po' forte, ma occorreva lasciare Vulcano alla svelta. La grande intuizione di Cannuci è stata quella di assecondare il vento di ponente in partenza, condizione piuttosto negativa per la rotta che avremmo dovuto tenere, confidando nell'incontro con corrente opposta a metà del "canale". Così ha scelto di allungare il percorso di alcune centinaia di metri per sfruttare lo scarroccio. Come facesse a sapere quale corrente avremmo incontrato alcune miglia più avanti, fa parte dei suoi segreti professionali! Fatto sta che le cose sono andate esattamente così, e se per tutte le prime 4 ore sono stato in costante ritardo rispetto al record di Cristina e Fabrizio, nell'ultimo tratto sono riuscito a recuperare. Mi è stato di grande aiuto il gps, i cui dati mi venivano segnalati ogni ora da Fabrizio: mentre nuotavo, la mia mente si arrovellava in calcoli di medie e proiezioni.... capivo che se le cose fossero rimaste come nelle prime ore, la traversata l'avrei finita ma il record non l'avrei preso.
Il ritardo sulla proiezione finale arriva fino ai 700 metri verso le 4 ore e mezza, e non nascondo di non averci creduto più, a quel punto. Però c'erano ancora le mie forze, i 12 km al giorno nuotati nelle ultime settimane, e soprattutto c'erano Benito Vittorio al timone e Fabrizio e Crisitna che non smettevano di incitarmi. E per fortuna, i conti di Cannuci erano esatti: gli ultimi chilometri sono stati a favore di corrente e il recupero è stato possibile, anche se ho dovuto dare l'anima per rientrare nella media del record. Nell'ultima ora ho forzato come mai in vita mia, lottando non solo contro la stanchezza e il tempo, ma portando la fatica fino alla soglia del dolore fisico. Nella mia mente due pensieri apparentemente contrastanti: da un lato sentivo che in ogni caso la traversata sarebbe stata la migliore delle mie tre, e che anche se non avessi preso il record sarebbe rimasta uno splendido ricordo - e poi il record restava per così dire "in famiglia"; dall'altro lato, avevo la consapevolezza che il cronometro non si era ancora fermato, che nelle mie braccia c'era ancora forza, e che mai più mi sarei ritrovato in quel mare e col record a portata di tiro: era un'occasione da sfruttare fino all'ultima bracciata.
La roccia bianco-rossastra di Capo Calavà si avvicina. Malgrado mi sia alimentato regolarmente ogni mezz'ora ho una sensazione di sete pazzesca. Ma siamo quasi arrivati e occorre solo spremere le ultime gocce di energia. La sensazione di gioia nel vedere riapparire il fondo, con la sabbia, i sassi e le alghe, dopo ore e ore di blu totale è qualcosa che solo chi ha nuotato in mare aperto può capire.
Appena tocco
terra, mi viene detto che il record è mio per meno di due minuti. E' per
quello che ho affrontato un anno di preparazione, l'organizzazione,
l'allenamento, è per quello che ho nuotato come un pazzo per 5 ore e 35
minuti e 5 secondi? Mi sento talmente stanco e svuotato, che in quel
momento fa davvero poca differenza. Se fosse rimasto a Fabrizio? Era
quello il pensiero a cui mi ero "allenato". In quei minuti ho
capito che anche quel tipo di preparazione mentale aveva dato i suoi
frutti: so che mi sarei sentito in ogni caso felice di avere dato tutto e
di avere vissuto un'altra giornata meravigliosa e indimenticabile.
Sulla spiaggia di Calavà il comitato di accoglienza lascia un po' a desiderare. A parte Ninni e Peppe Lotta più due anziane amiche di mia madre, arrivo nel deserto e nell'indifferenza generale. I bagnanti continuano a pensare ai bagni, qualcuno ci rimprovera persino per essere arrivati con le barche fino alla riva. Di questo dobbiamo ringraziare la stampa locale, che evidentemente ha "pompato" a dovere l'evento, caricando le masse - già calde per i trionfi calcistici - al punto giusto. Per richiamare l'attenzione dei media, cerco qualcuno a cui dare una testata "à la Zidane". Così, forse, qualcuno riterrà il nostro sport un po' meno "minore" e lo riterrà degno di una foto sul suo giornale. Per fortuna c'è Elisabetta: solo con lei ho un attimo di "liberazione" e la tensione si scioglie.
La traversata
è finita. Non farò più la Vulcano - Capo Calavà, qualsiasi cosa accada
domani. Ho inventato questa nuotata 19 anni fa: il mio primo record è
durato 18 anni, il secondo è durato 6 giorni. Quanto durerà il terzo non
lo so. So che ho avuto la fortuna di affrontare queste esperienze in
compagnia e con l'aiuto concreto di persone assolutamente grandiose: Cristina,
Fabrizio, Benito Vittorio in cima a tutti, senza dimenticare Marcello
Aricò, Parasporo, Fiannacca. Ognuno di noi ha dato una mano ad
abbassare poco per volta il tempo dalle 6h.27'.23" del 1987 alle
5h.35':05" del 2006, portando il proprio contributo fatto di
bracciate, incitamento, determinazione, esperienza, competenza nel proprio
campo, sicurezza.
GRAZIE A:
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