:: baiadigrotta.it ::

la traversata

home

la gara

il luogo

i personaggi

la traversata

i miti

l'ambiente

links

contatti e iscrizioni

albo d'oro 

AGATELLA MALVAGNA, traversata s.l. - 31.07.1977

Ad appena otto anni di età, una bambina dolcissima attraversa a nuoto lo Stretto. Viene da Catania, trova situazioni di mare e corrente ideali e completa la traversata in un tempo inferiore ai 42 minuti - tempo di assoluto rilievo - accompagnata dall'immancabile Nino Musciumarra. Agatella ci riproverà l'anno seguente e completerà anche la doppia traversata, tra mille difficoltà per le avverse condizioni meteomarine. La Malvagna, come abbiamo appreso da una trasmissione televisiva (Che sarà sarà, rai 3), oggi ha lasciato il nuoto e fa l'insegnante. Ci piacerebbe entrare in contatto con lei, per un ricordo in prima persona di quel periodo e di quelle esperienze, e per farla incontrare con Musciumarra che non ha mai dimenticato quella bimba energica e determinata, innamorata del mare.

Per oltre trent'anni, Agata è stata l'atleta più giovane ad avere compiuto la traversata.


Dall'archivio fotografico di Nino Musciumarra, l'arrivo a Cannitello.

Ottobre 2006. Nella nostra mailbox troviamo un messaggio. E' Agata Malvagna! Proprio la stessa Agatella che vedete qui in foto. Si stabilisce un contatto che in poche settimane si rinsalda e si trasforma in amicizia; ci viene naturale chiederle di raccontare in prima persona la sua esperienza di nuotatrice e i suoi contatti con lo Stretto di Messina. Quello che pubblichiamo qui di seguito è il suo appassionato racconto, arricchito dalle foto inedite che ci ha spedito. 

La storia di Agatella raccontata da Agata

Ricordo la sveglia all’alba, una robusta colazione difficile da mandar giù, perché ogni volta che dovevo affrontare una gara, anche se fino a quel momento erano state gare in piscina, lo stomaco mi si chiudeva un po’. Parlavo poco per isolarmi in una silenziosa concentrazione, avevo solo otto anni, ma con un carattere già molto determinato, una forza fisica insolita per quell’età ed un’aria da simpatica monella per via delle lentiggini sul viso.

Arrivammo presto sulla spiaggia di Punta Faro, era una giornata buona per affrontare la traversata dello Stretto di Messina, non l’avevo mai visto prima, avevo solo sentito parlarne e nella mia mente di bimba, in un’epoca in cui i bambini a otto anni erano veramente molto ingenui (era il 1977), chissà cosa immaginavo che fosse!

poco prima della partenza insieme con la mamma

Si vedeva bene la sponda calabra e non sembrava neanche troppo distante, pensai tra me e me che fosse alla mia portata. Sistemata la cuffia e gli occhialini, spalmata sul corpo un po’ di vaselina per proteggermi dal freddo, feci il segno della croce e chiesi a Dio di aiutarmi nell’impresa, rito che avevo sempre osservato prima di affrontare ogni gara in piscina e prima di battere ognuno dei record regionali che detenevo (all’epoca ne avevo già sette).  Stavolta, però, era diverso: si trattava di attraversare a nuoto tanto, tanto mare e di ottenere un primato assoluto! La cosa sembrava più grande di me, i barconi a remi di legno colorato che avevo intorno mi apparivano enormi, mettendomi un po’ soggezione. Mi erano vicine, però, le persone indispensabili: mio padre, un appassionato del nuoto; mia madre che, pur non sapendo nuotare, mi seguiva stando su una di quelle barche a remi; il mio allenatore Toruccio Gangemi (a cui rivolgo un affettuoso pensiero e che purtroppo non è più fra noi) e il “mitico” Nino Musciumarra che dispensava i suoi utili consigli.

la partenza

Mi tuffai ed iniziai a nuotare con fluidità, guardando verso il basso il fondale che si allontanava sempre più. Immersa nell’acqua, tutto intorno a me era solo silenzio e il mare, sempre più profondo, dopo un po’ divenne abisso: i raggi del sole che filtravano la superficie non riuscivano più a penetrare in profondità e il mare appariva nero e inquietante. A quel punto, dovetti fare i conti con qualcosa che non avevo immaginato potesse accadermi: un senso di vertigine che mi toglieva il respiro!

Abituata a non arrendermi, istintivamente cominciai a tenere la testa il più possibile fuori dell’acqua e per un po’ andai avanti così. Ogni tanto mi passavano un po’di the zuccherato per darmi energia e ricordo che pensavo, ingenuamente, di ridare indietro il bicchiere di plastica per non gettarlo in mare.

Presto mi resi conto che nuotare in quel modo non era per niente naturale e rallentava le mie bracciate, quindi mi venne un’idea che al momento mi parve ottima: nuotare normalmente, ma chiudendo gli occhi ogni qual volta la respirazione finiva e dovevo tornare giù con la testa. Funzionò, anche se toccava fare i conti con il senso di disorientamento che derivava dal tenere gli occhi chiusi di continuo!

Andai bene per un bel tratto e sentivo tutti incitarmi e sostenermi, distinguevo abbastanza bene le voci dei miei genitori, che ero abituata a sentire quando gareggiavo in piscina, ma lì era tutto più semplice, c’erano gli altri atleti come riferimento per andare più veloci, per spingere di più, adesso ero sola e dovevo trovare la spinta dentro di me.

 Attraversare lo Stretto di Messina non è un gioco (anche se l’incoscienza legata alla giovane età può farlo apparire tale): è prima di tutto una sfida con se stessi, nel cercare di adoperare tutte le capacità e le risorse a disposizione, essendo consapevoli dei propri limiti; poi è una grande prova sportiva, nel tentativo di battere un record che qualcun altro ha stabilito prima di noi.

In acqua stavo bene, ero in buona forma e sentivo di avere ancora energie da spendere. Vidi la costa di Cannitello più vicina, il fondale marino pian piano riappariva, compresi che stavo quasi arrivando e, a giudicare dall’entusiasmo di tutti coloro che mi seguivano, capivo che stavo andando bene. Ero alla fine, era quasi fatta, ma giunta a qualche centinaio di metri dalla costa incontrai una di quelle correnti avverse che chi conosce lo Stretto sa quanto siano difficoltose da superare. Per quanto accelerassi il ritmo delle bracciate, non guadagnavo un metro, non ricordo bene per quanto tempo dovetti lottare contro quella maledetta corrente, so di sicuro che mi sembrò un’eternità: ero così vicina alla costa che quasi mi pareva di poterla toccare con un dito, ma non abbastanza da poter avanzare a piedi! Strinsi i denti aumentai la battuta delle gambe e d’improvviso, non so come, ne venni fuori. Giunsi a riva portandomi dietro una fila di pesciolini, delle “mascoline”, forse attirate dal grasso che mi avevano spalmato sulla pelle alla partenza, Musciumarra ed altri le catturarono a mani nude, le passarono a me e qualcuno scattò una foto che ancora conservo come caro ricordo. 



Dopo l'arrivo della traversata del 1977

Era finita! Toccai terra nel tripudio generale: amici, parenti, curiosi, giornalisti, telecamere, fotografi; tutti mi volevano baciare ed abbracciare, quasi soffocandomi e non tenendo conto, nella foga di portarmi in spalla, che forse avrei avuto bisogno di qualche minuto di recupero! Tutta quella confusione intorno mi sembrava francamente eccessiva, non realizzai al momento la portata della mia impresa, ci vollero anni prima di rendermi conto realmente di cosa avessi compiuto: avevo impiegato 41min 47sec e a soli otto anni avevo ottenuto il record assoluto femminile.

L’evento ebbe risonanza internazionale, la stampa, la Rai e non solo, s’interessarono a me, in un periodo in cui, il 1977, esistevano solo due canali nazionali e qualche realtà televisiva regionale, la conseguenza che ne scaturì fu una grande notorietà che travolse la mia vita di bambina!

Tutto ciò aveva lati positivi, ma anche aspetti negativi: mi fu cucita addosso l’etichetta di “bambina prodigio” dalla quale ci si aspettava una capacità continua di andare oltre i propri limiti che erano già al di sopra delle normali possibilità d’ogni bambino di quell’età.

Giunsero proposte pubblicitarie e tentativi vari di speculare sull’impresa e sulla mia attività natatoria futura, ma per fortuna (e per “buon senso”) i miei genitori non firmarono mai alcun contratto, né accettarono mai compensi economici per lo sfruttamento della mia immagine, convinti che si trattasse solo di una grande impresa sportiva e che tale dovesse rimanere.  


Con il grande Enzo Majorca

Ci furono riconoscimenti sportivi importanti (i lati positivi, appunto), fui premiata al fianco di veri miti dello sport come Enzo Majorca, Gianni Rivera, Marcello Guarducci ed altri. Una bella soddisfazione se pensate che all’epoca uno dei miei “idoli” dello sport era proprio Gianni Rivera e che quando al ricevimento che seguì la consegna del premio “ La Torretta ”, in cui entrambi eravamo stati premiati per meriti sportivi, gli chiesi l’autografo, mi rispose che anche lui ci teneva ad avere il mio!

Sull’onda di questo grande entusiasmo sportivo, l’anno dopo, a soli nove anni, sfidai nuovamente le acque dello Stretto, ma stavolta si trattava della doppia traversata. Gli avvenimenti, però, andarono diversamente dal previsto: all’epoca non esistevano grandi mezzi tecnologici per organizzare una traversata. Ti affidavi all’esperienza della gente di mare, ai pescatori del luogo e ad un veterano dello Stretto come Musciumarra (che mi accompagnò anche quella volta), per stabilire quale poteva essere il giorno migliore per compiere l’impresa. Il giorno fu fissato, venne organizzato il tutto, gli allenamenti furono ultimati e quel giorno arrivò, peccato però che era un giorno completamente sbagliato! Il mare era mosso e le condizioni avverse: tutti si guardavano intorno per decidere il da farsi.


La doppia traversata del 1978. Sulla barca, ancora Musciumarra.

Ricordo mio padre venirmi incontro, mentre io stavo vicina a mia madre, e chiedermi se me la sentissi in ogni caso di farla. In un attimo, dentro di me, affiorò tutta la tensione che avevo accumulato: non avevo dormito bene, mi ero concentrata tanto sull’obiettivo da raggiungere, perché stavolta sapevo cosa significava attraversare lo Stretto, avevo l’esperienza dell’anno precedente, ma ora si trattava della doppia, non era una passeggiata! Guardai mio padre e gli risposi che l’avrei fatta in ogni modo, quel giorno o mai più. Non potevo rimandare, è il mio carattere, se l’avessi fatto avrei sicuramente accusato un calo di tensione emotiva (in età più matura elaborai e compresi quel momento, a quel tempo fu una reazione d’impulso senza capirne fino in fondo il significato e le ragioni) e istintivamente mi buttai nell’impresa per non deludere tutti, compresa me.


La sosta a Cannitello, prima del ritorno verso la Sicilia

Quanto fu faticoso! La prima parte della traversata fino alla sponda calabra già si presentò molto impegnativa, le foto dell’epoca, scattate durante la breve sosta a Cannitello, di soli undici minuti, testimoniano il mio aspetto provato. Ma il peggio venne dopo, quando mi tuffai nuovamente per tornare nella mia Sicilia: il mare era sempre più mosso e le correnti sempre più ostili. Ricordo soprattutto il grande sforzo fisico che dovetti sostenere fino a sentire di essere giunta alla soglia della sofferenza e oltrepassare anche quella, dovendo seguire una rotta più lunga e, quindi, più faticosa, poiché il percorso programmato in partenza non poteva più essere osservato a causa delle avverse condizioni del mare.

Da qui in poi i miei ricordi sono vaghi, rammento soltanto la voglia di farcela a tutti i costi: non faceva parte della mia mentalità (né allora, né oggi) di pensare ad una rinuncia, ad un ritiro. Continuai a nuotare ancora ed ancora, dando fondo a tutte le rimanenti energie fisiche e facendo ricorso per lo più a quelle mentali (e all’aiuto di Dio!). Vidi non troppo lontano la mia terra, la Sicilia finalmente! Tantissima gente che attendeva il mio arrivo, con entusiasmo ed allegria, mi incitava a compiere gli ultimi sforzi. I miei genitori, il mio allenatore e Musciumarra gridavano e mi spronavano dalla barca. Ed eccomi a riva, molto stanca e provata, ma contenta, perché ce l’avevo fatta, malgrado tutte le difficoltà, ed anche questa volta avevo ottenuto il record assoluto femminile. Unico rammarico: le cattive condizioni marine mi avevano costretta ad impiegare un tempo cronometrico molto più alto di quel che sarebbe stato nelle mie reali possibilità.


L'arrivo della doppia traversata del 1978

Continuò quel periodo di notorietà per un po’, nel frattempo la mia carriera agonistica procedeva e per vari motivi, negli anni che seguirono, dovetti cambiare società sportiva ed allenatore (il distacco da quest’ultimo fu per me di grande rilevanza psicologica, poiché era stato il mio primo vero allenatore ed era per me un fratello maggiore). Nella nuova squadra non ritrovai quel clima affettivo e quel sostegno morale che avevano caratterizzato i precedenti anni della mia carriera natatoria, con il nuovo allenatore, inoltre, non s’istaurò mai quel feeling sportivo ed umano che deve essere alla base del rapporto tra tecnico ed atleta e che mi avrebbe potuto aiutare a superare le difficoltà psicologiche ed i momenti di crisi che ogni atleta incontra durante la sua carriera agonistica. Gareggiai fino all’età di tredici anni e mezzo, essendo più volte campionessa regionale nei 200 mt dorso e riportando ottimi risultati in ambito nazionale (fui seconda nei 100 mt. stile libero nella manifestazione nazionale “Stelle e delfini”). Mi ritirai dall’agonismo fra lo stupore generale, ma per me era una decisione ponderata da qualche tempo: troppe cose erano cambiate e non vivevo più la mia passione per il nuoto nella maniera adeguata. D’altra parte ho sempre pensato che bisogna lasciare quando ancora si hanno buoni risultati per mantenere un’autostima all’altezza di ciò che sino a quel momento hai realizzato (questa è sempre stata la mia filosofia!).

Voltai pagina e con tanto studio ed impegno realizzai le mie aspirazioni: mi laureai in lingue e letterature straniere e vinsi il concorso statale per l’insegnamento. Conobbi l’amore della mia vita e ci sposammo. Oggi abbiamo due figli, Lorenzo che ha cinque anni e Ginevra di due, insegno lingua  inglese in una scuola media e vivo con la mia famiglia in una casa di fronte al mare (scelta certamente non casuale!). Con il mare vivo da sempre un rapporto particolare, basato su un grande amore istintivo ed un profondo rispetto.

 Facendo un bilancio, a trentasette anni, riconosco di aver superato nella vita prove dure, come molti di noi del resto, di aver avuto tante soddisfazioni, frutto di sacrifici e di volontà, di aver goduto di una certa notorietà  della quale, per fortuna, non mi sono mai inebriata e di aver compreso quanto più importante sia stata, per la mia vita e la mia spiritualità, la realizzazione del mio “vero successo”: la mia famiglia.

 Da più di sei mesi (a quasi ventiquattro anni di distanza dal mio ritiro) ho ritrovato, praticando gym nuoto prima e nuoto poi, il piacere di dedicare qualche ora la settimana alla mia antica passione: l’allenamento in piscina. Tornare a nuotare dopo tutto questo tempo, un po’per tenermi in forma e un po’ per divertirmi, è una decisione che mi fa sentire, nel profondo, in un continuo e costante “divenire”.

 

Riflessioni

Attraversare lo Stretto di Messina a nuoto è stata un’esperienza straordinaria che è andata di là dalla normale attività sportiva che un qualsiasi bambino possa praticare. Se consideriamo che un bimbo è un individuo ancora in crescita, fisica e psicologica, che sta costruendo la propria personalità, l’eccezionalità di un’impresa del genere (che a fino ad oggi, a quasi trenta anni di distanza è rimasta ineguagliata e insuperata) unita alla notorietà conseguente ad un’esposizione mediatica, ha comportato un alto rischio di perdere il contatto con la realtà e vivere una dimensione che non è quella “comune” per un bambino. Ringrazio Dio di essere riuscita a farne un’esperienza formativa, che mi ha fortificato e alla quale ho spesso attinto per trovare, nei momenti difficili della vita, la forza ed il coraggio per affrontarli. Mi piacerebbe, però, riuscire a trasmettere agli altri (soprattutto a quei genitori di “bimbi con un talento naturale”, come preferisco definirli io) ciò che ho imparato da questa importante esperienza: il rischio più grande per questi bambini è quello di rimanere incastrati in un ruolo che gli altri gli attribuiscono, soccombendo e non riuscendo a realizzare se stessi al di fuori di quel contesto. Penso che un “sano” agonismo faccia, senza dubbio, bene per la formazione della personalità di un individuo: insegna a saper gestire le sconfitte e ad avere un gran rispetto per gli avversari nelle vittorie. Personalmente lo sport mi ha insegnato valori importanti, quali l’umiltà, la lealtà, il coraggio, il senso del sacrificio nel perseguire l’obiettivo e la forza di rialzarsi quando si è a terra, che mi accompagnano nella vita di tutti i giorni e che vorrei apprendessero anche i miei figli. Sono, però, cosciente che le “grandi imprese” sono altra cosa! Sono stata fortunata, perché nel mio caso sono entrati in gioco due fattori fondamentali: un talento naturale, dono di Dio, ed un carattere forte e determinato, grazie al quale ho potuto sostenere lo stress psico-fisico generato da quell’esperienza e dalle sue conseguenze.

 Mi viene spesso chiesto quale potrebbe essere il mio atteggiamento nei confronti di uno dei miei figli, se avesse il mio stesso talento. Rispondo con molta sincerità e cognizione di causa che tutti i bambini, compresi i miei figli, dovrebbero crescere facendo esperienze fisiche e psicologiche proporzionate alla loro età. Il mio è stato un caso straordinario dal quale, attraverso una capacità introspettiva ed un’elaborazione interiore, ho tratto un’esperienza formativa, ma che rimane un’eccezione. Non è etico far credere che attraversare lo Stretto di Messina a nuoto, in tenera età, sia un gioco o un’esperienza favolistica (come spesso mi è capitato di dover sentire da individui che usano i mass-media, e la notorietà da loro derivante, per ottenerne vantaggi personali), istigando rischiose emulazioni di cui, alla fine, a farne le spese sono solo i bambini.

Se di vero talento si tratta, si potrà manifestarlo praticando una normale attività agonistica e per le grandi imprese, se si avrà voglia, ci saranno età più mature e consapevoli per affrontarle.


Agata con Nino Musciumarra nel 1978 e nel 2006, in occasione della consegna allo "Squalo dello Stretto" della Targa Rotary alla carriera.

 

Ringraziamenti

      

Ai miei genitori, per aver creduto in me e nel mio talento e per aver fatto, con i loro mezzi, ciò che ritenevano fosse giusto per il mio bene.

Ai miei figli, Lorenzo e Ginevra, che dalla loro nascita ogni giorno mi donano la felicità più grande che il mio cuore e la mia anima possano provare.

A Toruccio Gangemi, il mio primo allenatore e l’unico che è rimasto affettuosamente nei miei ricordi (sono certa che, anche se non è più fra noi, da qualche parte ancora mi guardi!).

A Domenico Berté, giornalista sportivo, che mi ha dato l’opportunità di conoscere questo sito e, di conseguenza, degli sportivi “veri”, che ispirano la loro vita agonistica ed umana agli stessi ideali in cui anch’io ho sempre creduto.

A Nino ed Elisabetta Fazio, a Cristina Scotto e Fabrizio Mandanici, per il sostegno morale, il calore umano e la crescente amicizia che hanno dimostrato a me ed alla mia famiglia, in un clima di simpatia ed allegria reciproca.

A Nino Musciumarra, che mi seguì durante le due traversate e che aiutò i miei ed il mio allenatore a curarne l’organizzazione.

Ai miei amici più cari, che hanno un posto importante nel mio cuore e che mi pregiano del loro affetto fraterno.

 

Catania, 10 Novembre 2006                                                                                              Agata Malvagna  

pagina a cura di Nino Fazio - nino@baiadigrotta.it

storia - albo d'oro & immagini -  organizzazione - regole - atleti

Per comunicare dati o richiedere informazioni, scriveteci qui: traversata@baiadigrotta.it

con lo Stretto nel cuore